IMU sulla seconda casa: come ottenere l’esenzione per il coniuge (le novità a seguito della sentenza C. Costituzionale n. 209/22)

L’acquisto di un immobile porta con sé il classico interrogativo: quante tasse dovrò pagare sulla nuova casa? Dovrò pagare l’IMU?
Com’e noto, l’esenzione dal pagamento dell’IMU è una delle maggiori agevolazioni di cui possono beneficiare i proprietari di un immobile che sia prima casa.
Ma cosa fare se il proprio coniuge o partner è proprietario di altri immobili?
Fino alla recente sentenza della Corte costituzionale n. 209/2022, in caso di matrimonio o unione civile, se i coniugi erano entrambi proprietari di immobili, l’esenzione dal pagamento dell’IMU era consentita per un solo immobile, anche se i coniugi mantenevano residenze diverse.
La formulazione del Decreto Legge n. 201/2011 sull’Imposta Municipale Propria, ai fini dell’ottenimento del beneficio, faceva espresso riferimento alla residenza del nucleo familiare presso l’immobile che la famiglia indicava quale residenza.
Accadeva, quindi, che le nuove famiglie, ove i due coniugi erano in precedenza proprietari di due diversi immobili, si trovavano di fronte alla scelta di dover indicare quale fosse l’immobile per il quale si intendeva beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU.
Diversamente, le coppie conviventi potevano beneficiare della richiamata esenzione, ove residenti negli immobili di proprietà.
Come già detto, con la sentenza n. 209/2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del D.L. 201/2011, nella parte in cui si prevedeva che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Oggi, quindi, a seguito della detta pronuncia, viene ridefinita la nozione di abitazione principale, prevedendosi che per essa si intende l’immobile nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente.
Nella norma, come riformulata, viene del tutto eliminato il riferimento al nucleo familiare che, invece, prima era necessario indicare.
Così, secondo la norma attualmente vigente, per ottenere l’esenzione dal pagamento dell’IMU, dovranno sussistere due requisiti:
– La residenza anagrafica presso l’immobile;
– La dimora abituale presso l’immobile medesimo;
Pertanto, i coniugi che hanno mantenuto la residenza anagrafica presso lo stesso Comune, o in Comune diverso, possono entrambi beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IMU.
La sentenza della Corte Costituzionale avrà un impatto importante sia per tutti i giudizi in corso, sia per gli importi già versati in favore degli Enti Locali per gli anni passati.
I proprietari di immobili, difatti, che negli ultimi cinque anni hanno già versato l’imposta, potranno chiedere al Comune di riferimento il rimborso dell’imposta medesima, e nelle ipotesi di rifiuto di restituzione da parte dell’Ente potranno agire in giudizio per ottenere il rimborso.

La riforma della Giustizia Tributaria: le principali novità e i nodi irrisolti

Con l’ultima legislatura appena conclusa si è dato il via libera, con Legge n. 130/2022, alla riforma del processo tributario che introduce importanti modifiche strutturali all’intero impianto della giustizia tributaria, ormai da tempo ferma all’originaria formulazione del 1992.
Il sistema processuale tributario necessitava da anni un intervento di restyling, in modo da dare maggiori e celeri risposte alle richieste di giustizia che provengono in modo crescente da cittadini e imprese, e che sono caratterizzate sempre più da una maggiore complessità della materia.
La richiamata riforma, che rientra tra le misure per l’attuazione del c.d. PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), ha come obiettivo principale quello di migliorare la qualità delle sentenze tributarie, nonché quello di rendere più efficiente l’intero sistema processuale.
Ma ecco le principali modifiche della nuova legge:
– La cessazione della denominazione “Commissione Tributaria Provinciale e Regionale” e l’introduzione della “Corte di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado”;
– La previsione della figura del giudice tributario togato, con previsione di indizione di pubblico concorso per l’assunzione della nuova figura di magistrato;
– Possibilità per le controversie di valore inferiore ad Euro 50.000,00, sia su iniziativa delle parti, sia su impulso del Giudice, di addivenire alla conciliazione della controversia;
– L’ammissione della prova testimoniale in forma scritta;
Non vi è dubbio che tra le dette novità la previsione della figura del giudice tributario togato – che acquisirà le funzioni a seguito del superamento di un concorso pubblico – è la maggiore innovazione della riforma, poiché punta a fornire al sistema giudiziario un giudice altamente qualificato nel settore tributario.
Ma un altrettanto importante novità è rappresentata dall’art. 7, comma 5 bis, della Legge n. 130/2022, con cui si prevede che “L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.
La detta norma introduce una radicale modifica in tema di onere della prova nel processo tributario, prevedendo che sia l’Amministrazione a dover provare la legittimità della pretesa impositiva per cui si procede.
Ove effettivamente applicata da parte dei giudici di merito, tale previsione avrebbe un carattere dirompente, poiché il contribuente sarebbe tenuto a fornire prova dell’illegittimità degli atti impositivi, mentre all’ufficio spetterebbe l’onere della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria.
A parere di chi scrive la riforma è un ottimo punto di partenza per addivenire, anche con successivi interventi mirati, ad un sistema di giustizia tributaria maggiormente efficiente e capace di fornire risposte di giustizia adeguate.
La riforma, che nel complesso quindi è da accogliere con favore, presenta tuttavia un elemento di criticità nella parte in cui si mantiene lo stretto legame tra i Giudici Tributari e il M.E.F., da cui le Corti di Giustizia Tributaria dipendono direttamente, e che potrebbe portare ad un contrasto con il generale principio di autonomia e indipendenza.

Roma, 17 ottobre 2022

Avv. Valerio Impellizzeri

Concessioni balneari: le novità a seguito del DDL concorrenza

Per il Disegno di Legge Concorrenza, presentato in Parlamento al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che si inserisce all’interno del programma Next Generation EU), i prossimi giorni saranno cruciali in vista della definiva approvazione alla Camera dei Deputati e al Senato.
Tra i principali temi di cui si occupa il D.D.L. Concorrenza vi è la riforma della disciplina delle concessioni balneari, che rientra tra le riforme che il Governo intende attuare (vi sono anche liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea [taxi], lo stop alle procedure ad evidenza pubblica nel settore dei trasporti locali).
Occorre ricordare che il settore delle concessioni balneari ha subìto una forte spinta ad una generale riforma a seguito della sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 18/2021, che ha di fatto smantellato la proroga automatica delle concessioni oltre il 31 dicembre 2023 (termine prorogabile solamente fino al 31 dicembre 2023).
Tra le principali modifiche in tema di concessioni balneari vi sono:
– Proroga al 31 dicembre 2023, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, delle concessioni balneari;
– Delega al governo per l’adozione dei decreti legislativi per il riordino e la semplificazione della disciplina in materia di concessioni balneari;
Si prevede, quindi, la cessazione – senza alcun ulteriore effetto – delle concessioni balneari di cui sono attualmente titolari le imprese che svolgono attività turistica-ricettiva.

Pertanto, una volta approvato il testo definitivo del progetto di legge, a seguito dell’adozione del decreto legislativo – cui seguiranno i decreti attuativi – sarà compito delle Amministrazioni attuare le disposizioni ivi contenute.
Ma cosa dovranno fare i gestori di stabilimenti balneari per continuare a esercitare l’attività imprenditoriale?
Vediamo insieme le novità della riforma e le ragioni del no degli operatori del settore.
Un primo importante risvolto sarà lo svolgimento da parte della P.A. (in particolare, i Comuni) di procedure ad evidenza pubblica, che dovranno comunque tener conto degli investimenti già effettuati dagli operatori privati: una volta pubblicati i bandi di gara, gli imprenditori dovranno presentare regolare domanda di partecipazione corredata dalla documentazione richiesta dall’Amministrazione.
Inoltre, la P.A. dovrà – nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione e parità di trattamento – garantire la massima partecipazione alla procedura selettiva, garantendo l’informazione dell’avvio della procedura con congruo anticipo.
Quelle sopra riportate sono le principali indicazioni espresse dal legislatore.
Il Governo dovrà ora affrontare la problematica di eventuali indennizzi per gli operatori che hanno effettuato importanti investimenti.
La questione è spinosa, dato che gli operatori del settore, facendo affidamento sulla concessione pro futuro (in precedenza la durata della concessione era di sei anni), potrebbero ritrovarsi a subire un pregiudizio economico per gli investimenti già effettuati.
Roma, 27 luglio 2022.
Avv. Valerio Impellizzeri

Eredità digitale: è possibile accedere agli account del congiunto defunto?

La società moderna è sempre più caratterizzata dalla digitalizzazione di ogni aspetto della vita quotidiana: ogni singola attività giornaliera richiede ormai la creazione di account internet che consentono di accedere a profili bancari, assicurativi e finanche di trading on-line.

Con la continua creazione di identità digitali la definizione di “dati personali” si è ormai allargata sino a ricomprendere, oltre alle informazioni che riguardano ciascuno cittadino, anche i dati di natura elettronica, come gli account di posta elettronica, le password dei social network e finanche le autorizzazioni all’accesso ai Cloud ove vengono conservate informazioni di ogni natura.

Accade sovente che i colossi del web come Facebook, Apple e WhatsApp richiedano – nell’ipotesi di eventi gravi che occorrono ai titolari dei profili internet – un’espressa autorizzazione per accedere agli account internet del soggetto defunto.

Sebbene il Garante della Privacy avesse già riconosciuto il diritto degli eredi ad accedere ai dati personali di natura bancaria, ad oggi non era certo il diritto di ad acquisire gli account, con relative password, dei profili internet di un soggetto colpito da grave malattia invalidante o addirittura deceduto.

Difatti, la normativa italiana in materia di dati personali, come modificata a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679, consente ai soggetti che agiscono nell’interesse del defunto, per ragioni familiari, di esercitare il diritto di accesso, di rettifica e di cancellazione (diritto all’oblio), ma alcun riferimento vi è in ordine al diritto di acquisire password o dati digitali.

Invece, con una recentissima sentenza il Tribunale di Milano ha riconosciuto il diritto della moglie ad avere accesso agli account internet del marito defunto per consentirle di acquisire foto e video del marito, nonché sue eventuali dichiarazioni di ultime volontà.

A seguito della detta sentenza, considerata la rilevanza e l’attualità della questione trattata, si auspica un ulteriore intervento normativo da parte del legislatore europeo o italiano, per la disciplina di dettaglio, fermo restando che il bilanciamento del diritto alla riservatezza con quello alla base della richiesta di accesso ai dati dell’identità digitale non può prescindere da un’attenta valutazione in sede giurisdizionale.

Roma, 10 luglio 2022

Avv. Valerio Impellizzeri

INTELLIGENZA ARTIFICIALE: PERCHE’ E’ IMPORTANTE PROTEGGERE I NOSTRI DATI PERSONALI

Con l’entrata in vigore del G.D.P.R. prestiamo sempre più attenzione alle richieste di trattamento dei dati personali: ci chiediamo se sia opportuno che il sito che stiamo visitando raccolga le nostre preferenze e riflettiamo sempre più sull’utilità di ricevere suggerimenti per i nostri acquisti. 

I nostri dati, con differenti metodologie, vengono trattati in forma massiva (c.d. “Big Data”) e, tramite sofisticate tecnologie digitali, vengono acquisiti e registrati dall’Intelligenza Artificiale, ovvero dalle tecnologie che, interagendo, consentono a raffinati strumenti informatici di percepire, comprendere e agire come gli umani. 

L’I.A. può favorire il progresso medico, la mobilità sostenibile, nonché una maggiore tutela ambientale, ma può anche rappresentare un serio problema se si conferiscono i propri dati con troppa “leggerezza”. 

Bisogna quindi imparare a proteggersi facendo valere i propri diritti che sono stati riconosciuti sin dal 1995, anno in cui fu emanata la Direttiva n. 46/1995, recepita dall’Italia con la Legge n. 675 del 31 dicembre 1996, successivamente abrogata dal c.d. “Codice della Privacy”.

Nel 2007, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona – attraverso il richiamo all’articolo 8 della Carta di Nizza – è stato conferito valore giuridico alla protezione dei dati personali. 

Ultimo fondamentale “step” è costituito dal Regolamento UE n. 679/2016, conosciuto anche come G.D.P.R., che costituisce un efficace strumento di tutela per i cittadini dell’Unione Europea, anche facendo leva sulla responsabilizzazione dei titolari del trattamento, ossia coloro che processano i dati personali conferiti dagli interessati.

Vista la continua evoluzione della materia, e la velocità con cui si utilizzano i dati degli utenti, il legislatore europeo sarà sempre più sollecitato ad adottare normative atte a bilanciare i diversi interessi in gioco, che comprendono, da un lato le distorsioni dell’I.A. (uso per finalità non lecite), e, dall’altro, l’interesse pubblico allo sviluppo e al progresso.

Prima di prestare il proprio consenso, ricordiamoci sempre di valutare l’affidabilità del titolare del trattamento e le finalità alla base della raccolta dei dati.

Roma, 7 ottobre 2021.

Avv. Valerio Impellizzeri

Patrocinante in Cassazione e dinanzi alle Magistrature Superiori